Il pane: lo scibile sul fermentescibile (parte prima)

di FornellidItalia

Il pane: lo scibile sul fermentescibile (parte prima)

La parte aerea: il lievito madre

La parte più ampia, più consistente, più fondante e, di conseguenza, più mitica della nostra piramide alimentare è abitata dal pane.

Ipotizzando che, alla sua realizzazione, presiedano elementi di natura fisica differente (liquida, solida e aerea) inauguriamo questa lunga trattazione intorno al pane che, secondo Ippocrate, “appartiene alla mitologia”, partendo dal lievito che, in qualità di fermento e considerata la reazione che innesca, del pane può essere considerata, appunto, la parte aerea.

Ciò premesso, i più antichi esemplari di pane pervenutici rivelano che esso era, quasi sempre, non fermentato, ovvero non lievitato: in una parola, azzimo. La fermentazione panaria, ovvero la lievitazione, ha avuto molto probabilmente un’esegesi del tutto casuale e comunque arbitraria, a seconda del territorio dove questa si innescava. Un innesco che, solitamente, scaturiva dall’uso “improprio” di birra o vino, come sostiene Vincenzo Tanara che nel suo libro “L’Economia del Cittadino in Villa” (Venezia 1658) fa risalire l’origine del lievito del pane all’uva o, meglio, alla sua fermentazione, e difatti i lieviti che innescano la fermentazione alcolica possono essere  gli stessi che presiedono alla fermentazione panaria. Ma questa non era e non è, tuttavia, l’unica strada percorribile: allora come oggi vi era infatti anche un’altra fermentazione, più spontanea che, non a caso, viene comunemente associata al termine di “madre” poiché è propria, specie-specifica del pane, appunto. Ebbene, è d’uopo chiarire sin da subito che per nessuna di queste strade verso la lievitazione contemporanea è possibile stabilire una cronologia certa. 

Possiamo invece definire con certezza quando il lievito entra in letteratura e, in particolare, in letteratura scientifica: quella vergata da Louis Pasteur, chimico e biologo francese cui tanto deve, in termini di fermentazione, anche un territorio come, per fare un esempio su tutti, la Champagne. Fu lui che nel 1857 riuscì a dimostrare il ruolo essenziale del lievito nei processi fermentativi del vino, isolando un microorganismo appartenente alla famiglia dei funghi che, invisibile a occhio nudo, una volta sviluppato si propagava con velocità, capillarità, uniformità e simultaneità: in una parola, il lievito, un organismo ubiquo di cui, oggi, sono state censite più di mille specie.

Il lievito: uno, nessuno, centomila

In questa grande famiglia, i lieviti che riguardano il pane sono i cosiddetti fermenti i quali producono energia convertendo gli zuccheri in acido lattico o alcol (etanolo), a seconda che si utilizzi, per la fermentazione, pasta madre o lievito di birra.

Prima di entrare nel vivo della nostra trattazione, tuttavia, è d’uopo mettere agli atti che, da un punto di vista normativo e a differenza di altri paesi europei, in Italia non esiste una legge che stabilisca cosa s’intende per lievito. Questa lacuna è imputabile, forse, a un vizio di natura terminologica: in paesi come la Spagna, la Francia e l’Inghilterra sono utilizzati termini differenti per indicare, e distinguere, lieviti di tipo Saccharomyces Cerevisiae – ovvero lieviti coltivati, composti da pochi ceppi selezionati per efficienza, velocità di riproduzione e resistenza agli ambienti con forte pressione osmotica, come il frigorifero – dai lieviti madre, ovverosia i lieviti selvaggi, i quali si trovano in natura sulla buccia di frutta e verdura e possono essere coltivati dopo aver creato per loro un ambiente di riproduzione ideale. Se, dunque, il primo tipo in questi paesi prende rispettivamente il nome di levadura, levure e yeast e il secondo maza madre, levainsourdough, in Italia si utilizza il termine “lievito” indiscriminatamente, benché in alcuni dialetti sopravviva ancora una simile distinzione.

Eppure, ciascuno ha caratteristiche diverse in termini di reazioni metaboliche  e, quindi, di velocità e quantità nella produzione di alcool etilico, anidride carbonica e/o altri composti organici e aromatici che influenzano la velocità di lievitazione e le qualità organolettiche dei prodotti da forno nonché, ovviamente, la nostra reazione ad essi.

Lievito bio e convenzionale

Fulvio Vailati Canta, docente ALMAcon un passato sui generis e una mente in continua evoluzione” ci racconta quanto segue: “Tempo addietro ho visitato un sito di produzione di lievito per la panificazione: qui, da uno stesso ceppo vengono prodotte una linea normale di lievito e una biologica. Cosa significa? Essenzialmente a differire è il tipo di alimentazione somministrata ai lieviti: nel biologico il cibo è costituito da melassa di canna da zucchero bio mentre nella linea normale la melassa proviene dalla canna o dalla barbabietola da zucchero coltivata in agricoltura convenzionale. Il risultato è stato sorprendente: i primi crescono molto bene e risultano più resistenti e longevi, i secondi, invece, pur crescendo bene possono essere esposti ad agenti contaminanti che, talvolta, ne rallentano la riproduzione indebolendo l’intero ceppo. Chiaramente, nello sviluppo del lievito fattore determinante è poi anche il luogo in cui avviene la fermentazione, che ne influenza le caratteristiche.

Lo starter di frutta 

Per produrre il lievito madre si può procedere con una fermentazione spontanea oppure mediante uno starter, ovvero un elemento “contaminante” avente il compito di attivare il processo di fermentazione come lo yogurt, il miele, il mosto o la polpa di frutta. A proposito di frutta, tuttavia, sono tendenzialmente da escludere kiwi e ananas che contengono un enzima detto proteasi, capace di alterare la struttura del glutine nell’impasto; da privilegiare, invece, uva, mela, pera, prugne e cachi, ricchi di sostanze zuccherine ma anche di microrganismi autoctoni preziosi per la fermentazione.

Come? Presto spiegato: si tratta di frullare 100 grammi di un frutto a scelta, privato dei semi ma non della buccia che, invece, è naturalmente contaminata dai microrganismi. L’ideale sarebbe poter utilizzare della frutta biologica, in maniera da scongiurare eventuali residui di pesticidi e fitofarmaci. Ottenuto il frullato, versarlo in un recipiente pulito e aggiungere lo stesso peso in acqua tiepida e quindi coprire con una garza per permettere alla coltura di respirare e di “catturare” ulteriori microrganismi presenti naturalmente nell’aria. Lasciar ammostare questo composto per circa 24-48 ore a temperatura ambiente, fino a quando sarà possibile notare della schiuma in superficie, segno che la fermentazione è partita. A questo punto, si può filtrare la polpa dal composto ottenuto, e cominciare a impastare il liquido con una quantità di farina manitoba utile a raggiungere un impasto asciutto e duro, oppure con lo stesso peso di farina manitoba se si sceglie di creare una pasta madre liquida. Lasciate fermentare l’impasto in un contenitore, che andrà coperto con pellicola, segnando il livello di partenza per poterne valutare l’aumento di volume. Dopo 24-48 ore, una volta avvenuta la lievitazione (l’impasto dovrebbe essere almeno duplicato), la pasta madre solida dovrà essere pulita dalle proprie “croste” ed essere “rinfrescata”, cioè nutrita nuovamente con della farina con rapporto di rinfresco 1:1, ovvero con un peso di farina pari al peso del lievito e una idratazione pari almeno al 45% della farina utilizzata per il rinfresco; la pasta madre liquida, invece, dovrà semplicemente essere rinfrescata con lo stesso peso del lievito in acqua e farina… ma ne parleremo tra pochissimo.

Il composto ottenuto a questo punto dovrà nuovamente essere riposto in un contenitore coperto da pellicola e in grado di contenere almeno un volume pari a 3 volte quello iniziale. Il contenitore dovrà essere tenuto a temperatura ambiente, possibilmente ad una temperatura intorno ai 18-21 C° per 24 ore. Il ciclo di rinfresco-fermentazione per 24 ore a temperatura ambiente andrà ripetuto tutti i giorni per circa un mese e, se tutte le operazioni verranno condotte correttamente, già dal 15° giorno si potrà iniziare a utilizzare la pasta madre negli impasti di prodotti  semplici come pane, pizza e focacce. 

Il rinfresco

Come già accennato, affinché i microrganismi possano riprodursi in maniera da averne sempre disponibili e pronti per un nuovo impasto bisogna provvedere al loro mantenimento e alla loro propagazione tramite la tecnica del rinfresco attraverso la farina, l’acqua e, se è il caso, attraverso il cosiddetto “bagnetto”. La farina è fondamentale in quanto costituisce il nutrimento e quindi il terreno di coltura delle specie microbiche in esso presenti. La sua composizione è direttamente responsabile della formazione degli acidi che portano allo sviluppo del lievito e al raggiungimento di un pH ideale: una farina tipo 0, o 00, con una forza intorno ai 350 W (tipo Manitoba), cioè una farina ad alto tasso proteico, è l’ideale perché permette un’alimentazione costante ed equilibrata per i microrganismi che si nutriranno di proteine che hanno bisogno di maggior tempo per essere metabolizzate e, quindi, di un pasto che dura più a lungo rispetto agli amidi che, invece, sono molto più semplici da attaccare e ridurre a zuccheri semplici. L’acqua, com’è noto, è l’ingrediente fondamentale per la vita e la sua qualità è importantissima oltre che per la buona riuscita di un impasto lievitato anche per la vitalità della pasta madre. È importante perciò usare acqua potabile naturale, facendo attenzione che questa, specie se di rubinetto, non contenga troppo cloro che ha un’azione battericida: per queste ragioni è sempre consigliato utilizzare dell’acqua minerale naturale confezionata.

Rinfrescare la pasta madre solida…

Come si diceva, qualora si fosse in presenza di una pasta madre solida per rinfrescarla occorre eliminare le croste, ovvero tutta la parte più esterna in quanto risulta essere la parte più contaminata e nella quale ci sono cellule morte o poco vitali e quindi pesare la parte rimasta o la parte che si intende rinfrescare. A questo punto, si aggiunge un peso pari di farina e il 40-50% di acqua sul peso della farina, e si impasterà fino a formare un panetto. Bisognerà quindi avere cura di custodire il panetto in un contenitore in grado di contenere 3 volte il volume iniziale e conservare a temperatura ambiente, tra i 18-24°C.

…e quella liquida

Anche qui si comincerà pesando la parte che si intende rinfrescare, e aggiungendo pari peso di farina e di acqua. Si mescolerà usando una frusta o un cucchiaio oppure in planetaria mediante l’uso di frusta o foglia; infine, anche stavolta, si dovrà conservare a temperatura ambiente in un contenitore in grado di contenere 3 volte il volume iniziale del nostro impasto.

Il bagnetto

Nel caso in cui la pasta madre solida diventi troppo acida è bene prima del rinfresco farle il cosiddetto bagnetto. Questa procedura serve a “lavare” la pasta madre dall’eccessiva acidità che può portare i microrganismi presenti nella pasta madre alla progressiva perdita di vitalità. Anche in questo caso sarà necessario eliminare la croste, e poi tagliare delle fette dello spessore di circa 1 cm, da immergere in una bacinella contente acqua a temperatura ambiente per 10-20 minuti, dopo i quali si strizzeranno le fettine per eliminare l’acqua in eccesso, si peserà la quantità da rinfrescare, e si procederà al rinfresco dopo aver pesato la parte interessata. Generalmente se si deve utilizzare il lievito tutti i giorni basta rinfrescarlo una volta al giorno. In alternativa, nel momento in cui non si utilizza troppo spesso il lievito per i propri impasti, si può procedere alla conservazione in frigo, in congelatore o per essiccazione.

La conservazione

Il lievito madre può essere conservato in frigo a +4C° per un massimo di 1 settimana, sempre all’interno del suo contenitore. Può essere rigenerato con un semplice rinfresco una volta alla settimana con un rapporto 1:2 (farina di rinfresco pari al doppio del peso del lievito da rinfrescare) dopo averlo eventualmente sottoposto a “bagnetto” se dovesse risultare troppo acido. Al termine del rinfresco procedere secondo la solita procedura e riporre in frigo non prima di un’ora dal rinfresco.

L’impasto e il pre-impasto

Prima di cominciare è bene sapere che per utilizzare il lievito madre negli impasti è importante eseguire dei rinfreschi preparatori, che servono a metterlo nelle giuste condizioni a seconda degli impasti che si andranno a fare. Per la preparazione del pane o di ricette non molto complesse è importante effettuare almeno un rinfresco preparatorio che consentirà alla pasta madre di raddoppiare il suo volume in circa tre ore e mezza. Solo allora essa sarà pronta per essere utilizzata negli impasti nelle dosi previste in ricetta.

Valutazione della salute del lievito madre

Il lievito madre è da considerarsi maturo, ovvero pronto per la lavorazione, se la sua pasta ha un colore bianco e consistenza soffice con alveoli leggermente allungati. Se si assaggia, deve avere un sapore leggermente acido, mentre è da considerarsi troppo forte, invece, se il suo sapore è più simile all’amaro che all’acido, il suo colore è grigiastro, e gli alveoli sono rotondi. In questo caso è opportuno curare il lievito tramite il bagnetto prima dei rinfreschi. Viceversa, è da considerarsi poco acido e quindi troppo debole se il suo sapore è dolce, il colore è bianco brillante, gli alveoli sono stretti e stentano ad allungarsi. In questo caso bisogna procedere con rinfreschi continui e lievitazioni ogni 4 ore al caldo in modo tale che i microrganismi possano tornare in equilibro e permettendo il raggiungimento del giusto grado di acidità della pasta. Il lievito, tuttavia, può anche inacidire o andare a male se il suo sapore è caseario, il colore grigiastro e pasta vischiosa. In tal caso, con un’azione tempestiva il prodotto può riprendersi ma solo dopo una settimana di accurati bagnetti, rinfreschi e fermentazioni.

Ulteriori approfondimenti su Terra di Pane. Il Grande libro del Pane Italiano curato dalla sottoscritta in collaborazione con Ezio Marinato e ALMA, per i tipi di Plan Edizioni.

 

* In copertina, dettaglio dell’ “Air Croissant” di Albert Adrià da Enigma

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